Il mio Vinitaly 2016

Il mio Vinitaly 2016

Anche quest’anno – per la precisione martedì 12 aprile – mi sono recato a Vinitaly, e il bilancio dell’edizione 2016 è, relativamente alla mia esperienza, il più positivo finora.

Arrivare a Vinitaly

Per trascorrere una giornata intera in fiera, è necessario partire da Trieste con il treno delle 6.16 (ma la penuria di collegamenti non è colpa dell’organizzazione), sul quale trovo molte facce conosciute, tra amici sommelier e clienti.

All’arrivo a Verona, ci sono ben tre navette in attesa dei passeggeri del treno, e raggiungere la fiera è decisamente comodo e veloce.

 

Come entrare a Vinitaly senza spendere 80 euro per il biglietto
(e senza averne diritto)

 

Vinitaly 2016, biglietti dai bagarini

 

Non appena si scende dal bus-navetta, è possibile acquistare il biglietto di ingresso dai numerosi bagarini che si aggirano indisturbati nei pressi dell’ingresso della fiera.
Il prezzo del biglietto per Vinitaly 2016 alla biglietteria era di 80 euro, ma chiunque – inclusi coloro che non facevano parte delle categorie di professionisti cui la fiera sarebbe riservata – poteva procurarsene uno per 50 euro dai bagarini, che acquistavano a 35 (lamentandosi del guadagno risicato…).

 

Esplorare Vinitaly

Quest’anno accedere ai padiglioni della fiera ha richiesto un’attesa di pochi minuti in una fila tutto sommato composta; non ordinata, naturalmente, ma almeno composta (leggete le esperienze dei wine blogger stranieri alla loro prima volta in Italia per una descrizione più minuziosa).

L’obiettivo del mio Vinitaly 2016 è provare i vini di due cantine del sud – una campana e una siciliana – di cui avevo sentito parlare molto bene, anche per prendere in considerazione di allargare l’offerta della mia enoteca con prodotti di altre zone.

 

Certezze dal Friuli-Venezia Giulia

Alla mia prima visita agli stand delle cantine che voglio provare, però, non trovo nessuno, così approfitto per passare nella zona del Friuli-Venezia Giulia e salutare gli amici dell’Associazione Italiana Sommelier, di Tenuta Villanova e la famiglia Arzenton, vignaioli del Collio che fra i primi hanno appoggiato il progetto di Enoteca Adriatica, di cui ho potuto assaggiare in anteprima gli ottimi vini del 2015, disponibili da maggio (attraverso Enoteca Adriatica, naturalmente).

Vini Arzenton a Vinitaly 2016

Conferme da Marche e Toscana

Mi reco, quindi, ad assaggiare i vini delle Marche delle cantine Umani Ronchi e Ciù Ciù: verdicchio, passerina e pecorino, sia fermi che spumantizzati.
Mi colpisce – manco a dirlo – il Pelago Umani Ronchi, sorta di taglio bordolese del Conero prodotto da ormai più di vent’anni con Cabernet Sauvignon  (50%), Montepulciano (40%) e Merlot (10%).

Negli stand della Toscana provo il Prugnolo di Boscarelli, che conoscevo solo di fama, e sosto per un breve tempo presso Castello del Terriccio, per una miniverticale dei loro prodotti.
È, poi, il momento di una degustazione guidata da Daniele “Doctor Wine” Cernilli, dal titolo “La costa toscana”, che prevede l’assaggio di undici vini, fra cui Heba 2014, Sassicaia 2013, Grattamacco 2013 e In Primis 2011.

 

Scoperte in Campania e Sicilia

Ritento l’approccio con Cantina del Barone (Irpinia) di Luigi Sarno, e stavolta sono più fortunato: scopro molti prodotti interessanti, che intendo distribuire attraverso Enoteca Adriatica nel prossimo futuro.

Anche la visita allo stand della cantina Vivera, in Sicilia, è particolarmente felice; resto talmente impressionato dalla qualità di questi vini che prendo immediatamente accordi per distribuirli a Trieste.

Cantina Vivera tra le scoperte di Vinitaly 2016

Work hard, play harder

La giornata sta per volgere al termine, così dedico le ultime due ore a provare le nuove annate di produttori che già conosco, come Massimago, Tenimenti d’Alessandro e Zanut (Slovenia).
Faccio anche una rapida sortita in Sud Africa e Spagna, prima di ripassare in Friuli-Venezia Giulia.

 

Bilancio del mio Vinitaly 2016

 

Vinitaly 2016 di Alessio Rozzi, sommelier di Trieste

 

È stata decisamente una giornata intensa, ma anche molto interessante, soprattutto nell’ottica di scoprire e provare personalmente i vini che prossimamente proporrò ai miei clienti di Enoteca Adriatica.

Circa l’organizzazione, ho sentito le usuali polemiche, ma per quanto mi riguarda ho trovato la fiera più vivibile degli scorsi anni: i bagni sono stati tenuti più puliti (era facile, viste le condizioni degli scorsi anni); la comunicazione con l’esterno era il più delle volte possibile (altro aspetto facile da migliorare rispetto alla totale mancanza di segnale per i cellulari dei Vinitaly precedenti).

Certo, non sono mancati gli ubriachi molesti che toglievano prestigio a quella che ha la pretesa di essere una fiera di settore riservata agli operatori, ma quest’anno ho assistito a poche scene da Oktoberfest, invece assai frequenti nelle precedenti edizioni.

Va considerato, in ogni caso, che ho visitato Vinitaly solo martedì 12 aprile – peraltro tenendomi ben alla larga dagli stand del Prosecco, dove generalmente la clientela più incolta si assiepa – perciò la mia testimonianza non è rilevante a fini statistici…

Alla scoperta dello Chablis con AIS Trieste

Alla scoperta dello Chablis con AIS Trieste

Sabato 19 marzo, la delegazione di Trieste dell’Associazione Italiana Sommelier ha tenuto una giornata di approfondimento sullo Chablis, una sorta di “seminario monografico” su questa piccola porzione di Francia e i suoi raffinati vini.

Chablis è un comune nell’arrondissement di Auxerre, nel dipartimento della Yonne, nella regione della Borgogna. Un territorio, quindi a metà strada fra la Côte d’Or e la Champagne.

Chablis è in Borgogna

Nonostante la sua posizione, dal punto di vista storico ed enologico, la zona di Chablis è considerata a tutti gli effetti parte della Borgogna.

In Borgona si coltivano prevalentemente Chardonnay (46%, diffuso in tutta la regione) e Pinot Noir (36%); altri vitigni caratteristici sono l’Aligotè (6%, coltivato essenzialmente nei due estremi, Chablis e Beaujolais, con espressioni di conseguenza molto diverse) e il Gamay (11%).

La produzione della Borgogna è relativamente ridotta (pari a circa una volta e mezza quella del FVG), ma presenta una nomenclatura molto articolata in termini di denominazioni, arrivando a definire, con un proprio disciplinare, superfici di anche solo un ettaro, e la diversità è tale che terreni classificati Grand Cru giacciono a distanza di poche decine di metri da altri classificati Village.

 

Chablis e Chardonnay di Borgogna

In Chablis, dove il clima è mutevole, tendenzialmente freddo, soggetto a gelate e grandinate, si vinifica prevalentemente Chardonnay.

Gli stili di Chablis, però, sono completamente diversi da quelli degli Chardonnay prodotti in altre zone della Borgogna, e ciò principalmente per tre ragioni:

– Clima: molto estremo e freddo, essendo più a nord delle altre sottozone della Borgogna;
– Terreni: più gessosi e ricchi di fossili marini, per via della prossimità con la Champagne e il terreno Kimmeridgiano, che nella Côte d’Or, dove la terra è prevalentemente marnosa e calcarea;
– Storia: desiderio di distinguersi quando le conseguenze della seconda guerra mondiale hanno imposto ai viticoltori di Chablis di ripensare la loro attività

 

Le denominazioni dello Chablis

Chablis Grand Cru – 100 ha, di cui 26 nel solo vigneto di Les Clos, il GC più grande di Chablis
Chablis Premier Cru – 776 ha
Chablis (AOP del 13/1/1938) − 3055 ha
Petit Chablis (AOP del 5/1/1944) − 660 ha

 

Sommelier-Trieste-Chablis-Grand-Gru

 

I Petit Chablis sono un po’ più acidi destinati al consumo giovane e locale, ma sono comunque di qualità, tanto che la nuova frontiera degli appassionati di Chablis è andare alla scoperta dei “grandi piccoli”, cioè i vini con denominazione Petit Chablis chi si distinguono per la loro complessità e raffinatezza.

Diversamente dagli Chardonnay di Borgona e di altre parti del mondo, che sono spesso fruttati e fioriti, gli Chablis hanno più spiccati sentori minerali, di pietra focaia o, al limite, di frutta aspra, e un’acidità esuberante, talvolta troppo spiccata.

 

Il vino di Saint-Bris

Saint-Bris-le-Vineux (che toponimo azzeccato!) è un altro comune del dipartimento della Yonne e confina con Chablis.
Qui è stata fatta un’operazione di differenziazione ulteriore: vi si coltivano, infatti, circa 100 ettari di Sauvignon, con denominazione VDQS dal 1974 e AOC nel 2003.

 

 

Degustazione di vini della zona di Chablis

 

1° vino – Aligotè Domain Bersan, Saint-Bris − 12,5%

Giallo paglierino con riflessi dorati molto leggeri, cristallino e abbastanza consistente.
Al naso è intenso, con spiccato profumo di capocchia di fiammifero – il sentore di pietra focaia tipica dello Chablis – che non si trova negli Aligotè del Beaujolais.
È fresco e sapido di una sapidità minerale.
Non si sentono profumi di frutta matura, ma sentori taglienti e decisi

 

2° vino – Sauvignon Blanc Domain Bersan, Saint-Bris, 2012 − 12,5%

Notevole e decisa mineralità, grandissima freschezza, che quasi sovrasta la sapidità all’inizio.
È più persistente del precedente e anche qui il frutto è fresco, vivace e tagliente, non c’è niente di maturo.
Vincono le durezze, ma c’è grande bevibilità. È elegante.

 

3° vino – Mont Embrasé (Sauvignon) Domain Bersan, Saint-Bris 2014 − 12,5%

Giallo paglierino e colore luminoso e brillante.
Equilibrato, elegante, leggermente morbido e setoso, soprattutto considerando che è un Sauvignon.
Il vitigno è ben riconoscibile: il vino odora di erba, bacello fresco di fava e la mineralità che presenta in bocca è quasi di polvere da sparo e di gesso

 

Sommelier-Trieste-Chablis-Saint-Bris

 

4° vino – Petit Chablis Domaine Servin, Chablis 2014 − 12,5%

Colori brillanti e luminosi.
È minerale, ma si sente un po’ di frutta esotica, sentore tipico dello Chardonnay, e frutta gialla.
Il sorso è morbido, la bocca resta pulita e morbida, libera da sapidità e acidità.

 

5° vino – Petit Chablis Thierry Laffay, Chablis 2014 − 12,5%

Il terreno su cui vengono coltivate le uve per questo vino giace ai piedi di una collinai Premier Cru, ma il fatto di non essere in pendenza implica la perdita di due gradi di qualificazione.

I sentori sono più maturi, i profumi si sono gradatamente sviluppati rispetto ai precedenti.
La mineralità è di nuovo quella della pietra focaia, vicina al ferro e allo zolfo.
Di primo acchito si sentono un leggero anice stellato e un sentore iodato e salmastro, mentre la classica frutta esotica dello Chardonnay è inizialmente coperta.
Anche in bocca è sapido e minerale.

 

6° vino – Chablis Thierry Laffay

Colore e consistenza sono quelli che ci aspettano da vini di questo territorio.
Al naso presenta notevole intensità.
Sapido e fresco, ma equilibrato grazie a una morbidezza maggiore.

 

7° vino – Chablis “Rive Droite” Domaine Testut – 13%

La sua produzione è caratterizzata da maggiori profumi e tensione alla qualità, con una complessità tale che induce il sospetto che il vino abbia fatto legno (ma non lo ha fatto).
La componente agrumata ha il sopravvento sui sentori di pietra focaia e polvere da sparo: il vitigno ha la meglio sul territorio, senza andare troppo distante dall’identità della zona.

 

8° vino – Chablis Premier Cru Testut 2013

Il colore si fa più carico, e così la consistenza.
Al naso si sovrappongono diverse sensazioni: c’è mineralità, c’è il profumo degli agrumi, ma non è più limone, bensì pompelmo e fiori di arancio, con sentori di ananas.

 

 

Chablis degustati con i Sommelier di Trieste

 

9° vino – Chablis Grand Cru Domain Servin 2013, 13%

Si iniziano a sentire i sentori di pasticceria dello Chardonnay, sebbene sempre permeati da freschezza e sapidità, perfino accompagnati da un leggero idrocarburo.
In bocca è morbido e rotondo, con una struttura apprezzabile, importante, e ha un’eccellente persistenza.

 

 

10° vino – Chablis Grand Cru Blanchot Domain Servin 2012, 13%

Grande mineralità, segno della volontà di mantenere l’espressione del territorio.
È un vino “reale”, espressione schietta del territorio di Chablis nudo e crudo.
Ci sono i sentori di frutta e di pasticceria, ma la voce più forte è quella del territorio.

 

Antinori: la sapienza di ventisei generazioni degustata a Trieste

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Degustazione di vini delle cantine Antinori organizzata il 10 marzo 2016 da AIS Trieste – Foto di Giancarlo Vidali

Giovedì 10 marzo 2016 la delegazione di Trieste dell’Associazione Italiana Sommelier ha tenuto, a scopo sia didattico che di fruizione, un evento dedicato alla cantina Antinori, strutturato, come sempre accade, in un momento di esposizione sull’attività del produttore e in uno di degustazione dei suoi vini.

L’azienda Antinori

La comunicazione della cantina è incentrata sulla lunga tradizione della famiglia, attiva nel mondo del vino da “ventisei generazioni”, come recita lo slogan dell’attuale campagna.
Vision e Mission aziendali sono illustrate in dieci minuti in un filmato di Cinzia TH Torrini, regista nota per la realizzazione di fiction di grande successo di pubblico (suo il fenomeno nazionalpopolare Elisa di Rivombrosa), in cui a suggestive panoramiche dei vigneti e della città di Firenze si alternano stralci di intervista al Marchese Antinori, che rimarca con forza l’orientamento dell’azienda al binomio, non esattamente inedito, di “tradizione e innovazione”.

Le tenute Antinori e i loro vini

La proprietà dell’azienda si compone di diverse tenute, sia in Italia che all’estero, di cui le più famose sono otto: quattro nel Chianti Classico (Antinori, Pèppoli, Badia a Passignano e, naturalmente, Tignanello), una nella DOC Bolgheri (Guado al Tasso), una nella DOCG Brunello di Montalcino (Pian delle Vigne), e due fuori dalla Toscana: Montenisa in Franciacorta e Castello della Sala in Umbria. Ciascuna ha, com’è ovvio, una propria vocazione.

In particolare, la tenuta di Bolgheri è considerata la più innovativa, poiché è qui che si assemblano i tagli bordolesi e si “fa ricerca” enoica anche al di fuori della tradizione toscana.
Le cantine del Chianti Classico, a loro volta, hanno una storia di rottura alle spalle: è qui, e in particolare nella tenuta Tignanello, che a partire dagli anni Sessanta la famiglia Antinori volta le spalle all’abitudine di produrre vino chianti in quantità e con l’impiego di uve bianche, votandosi all’imbottigliare un vino di qualità, a costo di poterlo etichettare semplicemente “vino da tavola”, perché contrario al disciplinare di allora; è sempre qui che la famiglia Antinori scrive la storia del Chianti Classico, contribuendo, con la propria rottura e il proprio successo, a ridefinire il disciplinare del vino (che solo nel 2006 escluderà l’uso di vitigni a bacca bianca e imporrà una percentuale minima di Sangiovese dell’80%).

Oggi ogni direttore di tenuta ha a disposizione un ettaro di vigneto per fare esperimenti, nel solco di quella ricerca di vino eccellente libera dalla sudditanza della consuetudine.

La degustazione dei vini Antinori

 

Cervaro della Sala 2014

80% Chardonnay, 20% Grechetto
Il blend è frutto del desiderio di dare a un vitigno tipicamente borgognone come le Chardonnay un’impronta italiana, che in questa annata – difficile per molti vini, ma ottima per il Cervaro – si fa più incisiva (la percentuale di Grechetto nel Cervaro 2012, infatti, si attestava al 15%).
L’equilibrio e la raffinatezza del vino sono ottenuti vinificando le uve delle varie parcelle separatamente e assemblandone i prodotti a più di cinque mesi dall’inizio della lavorazione, lasciando poi affinare il vino in bottiglia per dodici mesi.
Al naso è già molto fresco e rivela delicate note di spezie centroamericane.
Destinato a un più lungo invecchiamento, in bocca ha una spiccata mineralità e una spiccata acidità che, nel tempo, sono destinate a fondersi.

 

Pinot nero Castello della Sala 2013

Vinificato nei tradizionali tini a forma di tronco di cono, che permettono una pressione più delicata de cappello, evitando la frizione delle bucce contro le pareti del serbatoio, questo Pinot Nero ha iniziato la fermentazione alcolica in acciaio, per concluderla in barrique nuove, dove ha svolto anche la malolattica.
L’esame olfattivo riscontra profumi di fiori piccoli, viole e rose, e di frutti altrettanto piccoli, di bosco.
Al palato è morbido ed equilibrato, con una sapidità garbata, che lascia la bocca pulita.

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I vini Antinori degustati in occasione dell’evento ad essi dedicato da AIS Trieste il 10 marzo 2016 – Foto di Giancarlo Vidali

Chianti Classico Villa Antinori 2012

90% Sangiovese, 10% Cabernet Sauvignon.
È, insieme allo spumante ottenuto dai mosti che provenivano dal nord Italia, uno dei vini più antichi degli Antinori, essendo prodotto fin dall’inizio del XX secolo. Resse l’affronto del marchio IGT per rispettare i propri standard qualitativi quando, negli anni Duemila, per farlo, fu necessario impiegare uve provenienti da altre zone.
Al naso ha spiccate note balsamiche e minerali e un sentore di torba leggero e sottile, accompagnati da un filo di rosa.
In bocca è fresco e presenta un’acidità piuttosto marcata, sottolineata da tannini giovani ed energici, ma non aggressivi, né invadenti.

 

Bolgheri Superiore Guado al Tasso 2013

55% Cabernet Sauvignon, 20% Cabernet Franc, 25% Merlot, con una minima percentuale – variabile – di Petit Verdot.
In tempi recenti, si è escluso il Syrah da questo blend, poiché sottraeva eleganza al vino, rendendolo quasi volgare.
Gli acini sono selezionati a mano e ciascuna varietà viene vinificata separatamente, secondo i criteri ad essa più congeniali, per essere poi assemblata alle altre tre mesi prima della messa in bottiglia, dove il vino si affinerà per altri dodici mesi.
Questo classico bordolese esprime note iodate, che tradiscono la prossimità di Bolgheri alla costa tirrenica, e sentori di spezie dolci, come la noce moscata, e di marmellata.
La bocca è coerente e le note burrose e morbide fanno sì che il sorso ricordi una crostata di ciliegie.

 

Tignanello 2010

Chiude la degustazione il vino più blasonato, uvaggio di Sangiovese, Cabernet Sauvignon e Cabernet Franc (in rapporto di 16:3:1 – giusto per vedere se, dopo tanti assaggi, siamo ancora lucidi sui conti).
Il 2010 è stata un’annata difficile, salvata dall’esperienza di chi ha operato in vigna e in cantina.
Dopo una pigiatura delicata in tini a tronco di cono, il vino matura in botti di legno ungherese, la cui neutralità non ne ostacola l’espressione del carattere.
L’equilibrio è tale che i profumi si amalgamano senza che uno prevarichi sugli altri, mentre il sorso è avvolgente, grazie a tannini morbidi, ma vitali, garanzia di longevità.

Olio Capitale 2016: degustazione e scoperte a Trieste

trieste-olio-capitale-2016


A noi di Trieste sembra ieri che abbiamo visto per la prima volta le affissioni pubblicitarie in città, eppure Olio Capitale, la fiera dedicata all’olio italiano “tipico e di qualità”, giunge nel 2016 alla sua decima edizione.

La formula è sempre la stessa: negli stand allestiti nei locali della stazione marittima, in pieno centro città e con una suggestiva posizione sul mare, produttori di olî extravergine d’oliva giungono da tutta Italia per far assaggiare i loro prodotti ai visitatori, i quali, a fronte di un biglietto di ingresso più che abbordabile (6,00 euro acquistando l’ingresso sul posto, 4,00 preregistrandosi qui, possono apprezzare le diversità fra cultivar e il modo in cui questi si esprimono a seconda delle zone.


OLIO CAPITALE 2016 – I NUMERI

Accanto agli olivicoltori di diciotto regioni Italiane (solo Valle d’Aosta e Piemonte non sono rappresentate, per ovvie ragioni), espongono anche i produttori delle vicine Slovenia e Croazia, e della Grecia, nazione ospite dell’edizione 2016.

Quest’anno gli espositori presenti sono circa 320, inclusi gli enti pubblici, come alcuni comuni, le associazioni di produttori e altre poche realtà non direttamente impegnate nella produzione.

La regione che più massicciamente è “sbarcata” a Trieste è la Puglia, con ben 102 espositori, mentre quella meno rappresentata è il Trentino-Alto Adige, di cui c’è solo olivicoltore.

Sorprende la densità di produttori abruzzesi (54 espositori) e la relativa rarità di olî toscani (13 produttori).


LE MIE DEGUSTAZIONI

È proprio per due produttori toscani, però, che anche quest’anno sono tornato a Olio Capitale: Fattoria Ramerino e Olio del Colle, i cui prodotti avevo conosciuto e apprezzato già nelle precedenti edizioni della fiera. Entrambi producono olî extra-vergini d’oliva IGP con metodo di agricoltura biologica, complessi e decisi, ma comunque equilibrati.

Di Ramerino assaggio i due blend Guadagnòlo, che lo scorso anno erano esauriti al momento della mia visita allo stand. Dulcis non è poi così “dulcis”, ma è ugualmente più gentile di Primus, le cui note amare e piccanti sono più marcate. Opto per quest’ultimo, in previsione di gustarlo sui legumi e sulla carne, e non rinuncio all’altro toscano intenso di questo produttore, il monovarietale di Moraiolo.

Il Colle riserva una sorpresa. Accanto al già premiato Olio Verde del Colle, quest’anno ha portato a Olio Capitale anche i monovarietali: Leccino, Frantoio e Moraiolo. La fragranza del Frantoio mi conquista.

L’edizione 2016 di Olio Capitale è stata, per me, quella di due scoperte del sud: Agricola Samperi di Biancavilla (Catania) e Oro di Rufolo di Giovinazzo (Bari).

Samperi produce olio extra-vergine da olive della varietà Nocellara etnea e lo declina anche in cinque “bouquet” di olî aromatizzati, ottenuti molendo gli ingredienti caratterizzanti insieme alle olive.

Di Oro di Rufolo, invece, ho assaggiato e acquistato i due prodotti più delicati, il monocultivar di Ogliarola e il blend “Don Gaudio”, in cui l’Ogliarola ingentilisce il carattere più incisivo della Coratina, di cui si apprezzano gli spiccati sentori erbacei.


olio-capitale-trieste-2016


Rispetto alla degustazione del vino, trovo la degustazione dell’olio decisamente più faticosa per il palato, e lascio Olio Capitale prima di avere le papille troppo stanche per capire a fondo i vari olî, rinunciando a diversi assaggi, ma l’impressione è che i produttori meritevoli fossero la maggior parte, grazie a una buona selezione iniziale degli espositori.

Lugana: evoluzioni e armonie senza tempo

Degustazione di Lugana presso AIS Trieste

Degustazione di vino Lugana organizzata il 29 gennaio 2016 da AIS Trieste – Foto di Giancarlo Vidali

 

Lo scorso 29 gennaio, la delegazione AIS di Trieste ha organizzato un evento sul Lugana, vino bianco della Lombardia sud-orientale, durante il quale ne sono state degustate dieci interessanti declinazioni:

Cà Maiol – Lugana spumante metodo classico 60 mesi

Montonale – Lugana Montunal 2014

Marangone – Lugana vendemmia tardiva Rabbiosa 2013

Selva Capuzza – Lugana riserva Menesasso 2012

Pasetto Emilio – Lugana I Calmi 2011

Avanzi – Luagana Borghetta 2010

Cà dei Frati: – Lugana I frati 2009 (affinato in bottiglia per 5 anni)

Civielle – Lugana superiore Cios 2008

Pasini San Giovanni – Lugana Buso Caldo 2009

Cà Lojera – Lugana Vigna Silvia 1999

L’evento si è articolato, come spesso in questi casi, in un momento di esposizione teorica sul vino Lugana, in cui si è parlato delle sue origini e delle sue caratteristiche, e un momento di degustazione.

Il vino Lugana

Prima DOC della Lombardia, istituita già nel 1967, il Lugana è prodotto in provincia di Brescia, nella zona del basso Garda, nei dintorni di Sirmione, nel cui comune si trova la frazione che dà il nome al vino, e nelle vicine zone della provincia di Verona.

Viene prodotto da uve Turbiana, un vitigno autoctono a bacca bianca più conosciuto come Trebbiano di Lugana (Trebbiano di Soave nella provincia di Verona).

La coltivazione della vite avviene prevalentemente in pianura, dove il suole è composto da strati di argilla di origine morenica.
La terra, qui, risulta estremamente dura se asciutta ed estremamente fangosa con la pioggia, proprio per l’elevata componente argillosa.
Il suolo della parte collinare, inoltre, ha una percentuale di sabbia che aumenta progressivamente man mano che ci si allontana dalla pianura.

Il Lugana non sembra essere un vino molto fortunato in Italia: il 75% del prodotto è destinato all’esportazione, principalmente Germania, USA e Giappone.

Si fa presto a dire Lugana

Secondo il disciplinare, esistono cinque tipologie di Lugana:

  • Lugana
  • Lugana superiore (un anno di affinamento)
  • Lugana (due anni di affinamento)
  • Lugana spumante
  • Lugana Vendemmia Tardiva

Il Lugana spumante rappresenta meno del 5% della produzione totale di Lugana.

Alcuni produttori, inoltre, producono un vino passito dalle uve con cui si produce il Lugana, ma poiché il disciplinare non prevede questa tipologia, questo prodotto viene commercializzato con diverse diciture.

L’acidità naturale del vitigno è tale da conferire, grazie anche alla particolare composizione del terreno su cui le uve sono allevate, notevole longevità al vino.

Degustazione di Lugana

Ecco i tre Lugana che più mi hanno colpito durante la degustazione del 29 gennaio:

1. Cà Maiol: Lugana spumante metodo classico 60 mesi (sboccatura febbraio 2014)
Frutta tropicale, tanto lievito e crosta di pane. Leggera tostatura e crosta di pane.
Notevole la sapidità

2. Montonale: Lugana Montunal 2014
Al naso salvia, pompelmo rosa e notevole mineralità, nocciola.
Grande bevibilità.

3. Avanzi: Lugana Borghetta 2010
Agrumi e frutta molto matura.
Idrocarburi e fiore appassiti