da Alessio | Nov 10, 2017 | Studio
Sono un sommelier AIS e ho conseguito il diploma con la sezione di Trieste.
Successivamente ho deciso di conseguire il secondo livello del Wine and Spirit Education Trust (WSET) e ora sono in procinto di sostenere l’esame del terzo livello (motivo per cui non aggiorno il blog da tanto: studio in ogni momento libero).
Spesso mi sento chiedere se la formazione dell’AIS non sia sufficiente o cosa me ne faccia di un titolo in qualche modo parallelo.
Corsi WSET o corsi AIS? Chi forma il miglior sommelier o esperto di vino?
Non è per il titolo, è per le competenze.
A un certo punto ho sentito il bisogno di avere gli strumenti per iniziare a conoscere non solo il vino dei paesi esteri (che in parte avevo già avevo approfondito prima di aprire l’attività di importazione), ma soprattutto il modo in cui all’estero il vino viene comunicato e interpretato.
La formazione dataci dall’AIS è ottima ed è indispensabile per accostarsi al mondo del vino in modo organico e per rapportarsi seriamente con gli interlocutori italiani. Poi, va da sé, ciò è più o meno vero a seconda di quanto ciascuno si applica, e si potrebbe passare la vita ad approfondire un qualsiasi vitigno o una qualsiasi zona italiana senza mai giungere a conoscerli del tutto, dunque il compito di una scuola è di fornire gli strumenti per poterlo fare. In base all’esperienza che ho avuto con AIS Trieste, posso dire che l’associazione dei sommelier è un’ottima scuola.
Il Wine and Spirit Education Trust è il punto di riferimento internazionale per la formazione su vino e distillati e mi è sembrato essere la scuola perfetta per imparare una nuova lingua del vino e per sapere cosa si sa del vino al di fuori dei confini italiani.
In rete c’è molto dibattito a riguardo, e l’impressione che ho è che le posizioni più estreme – a favore dell’uno o dell’altro – vengano prese da chi non conosce bene la realtà che scredita (oppure ha avuto con essa un’esperienza straordinariamente sfortunata).
L’AIS si focalizza giustamente sul panorama italiano, formando esperti di questa realtà; il WSET mira a fornire una visione d’insieme della situazione globale, manifestamente meno approfondita sulla singola zona, ma ampia e chiara. Ovviamente, più avanti si va con lo studio, più anche questa visione diventa approfondita e completa.
È un po’ come accade con le misure: c’è chi le rappresenta in centimetri e chi in piedi, entrambi sono sistemi corretti ed è utile conoscerli tutti e due per farsi un’idea delle dimensioni effettive delle cose, a prescindere dall’interlocutore.
La formazione migliore, fra le due, è quella che più serve per la crescita o la carriera del singolo in un preciso momento della vita.
La maggior parte delle persone vive benissimo senza nessuna delle due, mentre io non escludo che avrei potuto fare anche il percorso inverso, da WSET ad AIS.
Più conosco di vino e più desidero conoscere, anche per diventare sempre più affidabile come sommelier e come importatore, perciò ho cercato nuovi insegnamenti.
Non mi sento di consigliare una scuola rispetto all’altra, né di bollare una come incompleta, ma ora posso almeno garantire sulla bontà di alcuni insegnanti e dare sempre maggior valore ai miei clienti.
da Alessio | Ago 1, 2017 | Studio
Oggi inizio una rubrica in cui spiego il significato delle
espressioni che si usano parlando di vino.
Sono termini che a volte, quando i sommelier o gli enologi li usano, dipingono un’espressione di sconcerto sul volto di chi le sente. Questo è il mio piccolo contributo al tentativo di cancellare quelle espressioni e avvicinare le persone al mondo del vino; non sminuendo l’argomento con semplificazioni inutili, ma condividendo le informazioni e rendendole più accessibili.
Scrivetemi se volete che parli di un’espressione in particolare!
In viticoltura, si parla di invaiatura quando arriva il momento in cui gli acini dei grappoli d’uva, da verdi che sono da acerbi, iniziano ad assumere il colore proprio della loro varietà.
In altre parole, l’invaiatura è l’inizio della maturazione.
Il termine non è proprio solo della viticoltura, ma si usa per tutti i frutti. Viene dal verbo “invaiare”, che significa “diventare vaio”, cioè “diventare nero/scuro”.
Nel mondo del vino si usa molto anche il vocabolo francese: véraison.
Non c’è un esatto momento dell’anno in cui inizia l’invaiatura, poiché ciascuna varietà ha i propri tempi di maturazione, ulteriormente influenzati dal clima della zona in cui cresce e dalle condizioni meteo dell’annata.
Inoltre, non tutte le piante di un vigneto invaiano nello stesso momento, né – addirittura – tutti gli acini dello stesso grappolo. È frequente vedere sulle piante grappoli bicolori.
L’invaiatura interessa particolarmente gli amanti del vino (non solo i sommelier!) perché è il momento in cui nell’acino iniziano a svilupparsi gli aromi che ritroveremo nella degustazione.
Per diversi vitigni l’invaiatura avviene questo mese. Fra essi, il Pinot Nero e un vitigno autoctono austriaco, mutazione spontanea del Pinot, battezzato Sankt Laurent (San Lorenzo) proprio perché inizia la maturazione intorno al 10 agosto.
Questa foto, pubblicata sul profilo Instagram della cantina della Lepa Vida (che ringrazio), mostra l’invaiatura del Pino Grigio, iniziata qualche settimana fa.
La cantina – importata in Italia da Enoteca Adriatica – si trova nella valle del fiume Vipacco, poco distante da Aijdovščina.
da Alessio | Lug 4, 2017 | Degustazioni, Studio
La vita del sommelier e dell’importatore e distributore di vino è ricca di sfide stimolanti, per questo l’ho scelta.
Oggi tiro le fila del primo grande evento che ho organizzato e delle tante cose che ho imparato – e che ancora ci sono da imparare – sui vini del mondo.
Com’è il metodo di degustazione vino del WSET e come si svolge un wine tasting seminar?
Sabato si è tenuto il primo e per ora unico seminario di degustazione con il sistema WSET a Trieste, guidato da Robert McNulty e organizzato da me, attraverso la mia attività Enoteca Adriatica.
È stato, manco a dirlo, un successone.
Avevo già conosciuto Robert McNulty al corso di livello 2 del WSET, ed ero entusiasta delle sua competenza e della sua capacità di trasmetterla con semplicità. I partecipanti ne sono rimasti conquistati.
Poteva andare meglio dal punto di vista manageriale.
Mi sono fatto “abbindolare” da due persone che si sono dette interessate e hanno tenuto i posti occupati fino all’ultimo, per poi rinunciare. Risultato: io che ci rimetto l’ammontare di due quote e altri potenziali interessati che non riescono a partecipare, con un così scarso preavviso.
La lezione che ho imparato è che – se proprio non voglio applicare ricarichi a simili eventi, continuando a vendere le quote a prezzo di costo – devo essere più severo con le iscrizioni e formare una lista d’attesa più nutrita.
Saprò farmi perdonare questa ingenuità da chi è rimasto fuori! 😉
Ma molte altre, e più interessanti, sono le lezioni sul vino che, insieme agli altri partecipanti, ho imparato da Robert.
Il metodo di degustazione del WSET
È molto diverso da quello, che conoscevo, applicato dall’AIS.
Non credo si possa stabilire il migliore o il peggiore, ma, per chi come me fa il sommelier, l’importatore e distributore di vini o in qualche modo lavora nel mondo del vino, è fondamentale conoscerli entrambi per esprimersi in modo appropriato con interlocutori diversi.
È un metodo rigoroso che, attraverso un’analisi il più possibile oggettiva del vino, mira a risalire alla sua essenza e alla sua origine, oltre che a fare considerazioni sulla sua qualità e aspettativa di vita.
I vini del seminario di degustazione WSET
Appunti di note di degustazione per ciascuna sessione – in tutto abbiamo assaggiato 24 vini!
Vini aromatici e Spumanti
Limpido e di colore giallo limone di media intensità.
Ha profumi di media intensità di albicocca e pesca gialla, mela verde, limone. Non presenta profumi secondari, ma ha note terziarie di miele e idrocarburi.
Ha sapore secco e una spiccata acidità, corpo medio e aromi più intensi di frutta tropicale, con un leggero (leggero leggero) sentore di zolfo.
Hai capito cos’è e da dove viene? L’ho scritto in bianco di seguito, evidenzia la riga che segue con il mouse per scoprirlo (da mobile: lo ripeto in fondo al post).
Quasi tutti abbiamo capito che è un Riesling. La texture oleosa e il bouquet ci dicono che viene dall’Alsazia.
(Trimbach, 2013)
Vini bianchi
Limpido e di colore giallo oro pallido.
Ha profumi di media intensità di fiori, uva fresca e drupe.
Al palato è secco e ha una spiccata acidità, corpo leggero e poco alcol; si sentono in bocca anche aromi di lime e limone.
La freschezza ci dice che non proviene da una zona calda.
Per alcuni e Gewurztraminer; ad altri ricorda il Moscato; altri scartano queste ipotesi, ma non hanno un’idea migliore.
Hai capito cos’è e da dove viene? L’ho scritto in bianco di seguito, evidenzia la riga che segue con il mouse per scoprirlo (da mobile: lo ripeto in fondo al post).
È Torrontes dalla valle Calchaqui, in Argentina.
(Bodegas El Estaco, 2016)
Vini rossi
È limpido e di color rubino intenso.
Nei profumi, di media intensità, si riconoscono note di caffè, tostato, mirtillo, amarene ed erbe.
Il sapore è secco, l’acidità è media e medi sono i tannini. Il corpo è pieno e la sensazione alcolica è elevata. In bocca si sentono ancora aromi di prugna e vaniglia.
Il balsamico fa pensare al Merlot, ma ha tannini troppo alti per esserlo. Dobbiamo escludere anche il Cabernet Sauvignon, poiché non è abbastanza acido. Manca completamente del tipico sentore di pepe nero dello Shiraz. Ha il calore del Nuovo Mondo, ma è molto fresco per essere californiano…
Hai capito cos’è e da dove viene? L’ho scritto in bianco di seguito, evidenzia la riga che segue con il mouse per scoprirlo (da mobile: lo ripeto in fondo al post).
È Carmenere dalla valle Colchagua, in Cile.
(Montes, 2014)
Vini fortificati (tre sherry e tre porto)
È limpido e ha un colore granato di media intensità.
Al naso ha profumi di rosa, chiodi di garofano, frutta sotto spirito, prugna cotta.
Anche in bocca rivela aromi di marmellata, prugna cotta e spezie dolci, è dolce e abbastanza acido, tannini modesti e buon corpo.
Pesiamo tutti sia un (ottimo) porto.
Hai capito cos’è e da dove viene? L’ho scritto in bianco di seguito, evidenzia la riga che segue con il mouse per scoprirlo (da mobile: lo ripeto in fondo al post).
È un Fine Old Vintage, un vino fortificato prodotto, nello stile e con le uve del Porto, in Sud Africa.
(Allesverloren, 2010)
L’aspetto deprimente della faccenda è che ci vuole una competenza immensa per attribuire con esattezza determinate caratteristiche a determinati vini, oltre che molta abilità a riscontrarle nel bicchiere.
L’aspetto consolante, che mette una gran voglia di approfondire, è che abbiamo visto che è possibile.
Se si riescono a riconoscere e collocare correttamente (o sbagliando di poco) le tipologie di vino conosciute, dunque, più se ne conosceranno e più se ne riconosceranno.
Non resta che studiare e assaggiare!
da Alessio | Mar 18, 2017 | Studio
Il vino dell’Austria è la scommessa di Enoteca Adriatica.
Se è vero che il vino francese gode di un’ottima reputazione e quello sloveno è troppo sconosciuto per subire pregiudizi, il vino austriaco è spesso il bersaglio designato di critiche da bar senza fondamento o, più precisamente, fondate su elementi superati da trent’anni.
Il vino austriaco è adulterato !!1!undici!
Il primo pregiudizio sul vino austriaco è che sia un vino adulterato. Tutto. Indistintamente. Non se ne salva una goccia neanche per sbaglio.
Questa convinzione è probabilmente dovuta allo scandalo del vino con l’antigelo scoppiato nel 1985.
Nel 1987 era stato adulterato anche del vino italiano, e aveva causato dei morti.
Nessuno oggi pensa che il vino italiano sia tutto adulterato o ne ha una bassa opinione in generale. All’Austria e al suo vino, invece, non lo perdoniamo.
Il vino austriaco non vale niente, si vede a okkio
Il secondo pregiudizio è legato al packaging (quella cosa che – stando ai sondaggi – non è in grado di influenzare il processo di acquisto di nessuno): è scadente perché è chiuso con il tappo a vite.
Poco importa se il tappo a vite – come il tappo a corona, ancora meno elegante – sia in molti casi la soluzione migliore per conservare il vino in una bottiglia (infatti lo ha adottato anche Franz Haas). Poco importa se la “confezione” in cui il vino è contenuto è anche il prodotto di fattori culturali.
L’incrollabile sillogismo cui ancora molti sono ancorati è: siccome in Italia – questo va concesso – il tappo a vite è spesso usato per vini di bassa qualità, allora sicuramente anche in altri paesi il tappo a vite è usato per le bottiglie di basso livello.
I sommelier e gli esperti di vino in generale sanno che non è così e che anche in Austria ci sono produttori eccellenti. E non serve essere intenditori per scoprire facilmente che al mondo (non solo in Austria) c’è un’infinità di vini chiusi con il tappo a vite che superano i 90 punti Parker.
Anzi, forse specialmente in Austria la qualità media del vino è relativamente alta (non mancano le schifezze, sia chiaro, come dappertutto) perché, proprio per venire fuori dalla grave crisi che colpì il settore in seguito allo scandalo di trent’anni fa, lo Stato ha sancito e attuato politiche produttive rigorosissime, che hanno portato, oltre che alla totale sicurezza, a un progressivo miglioramento delle tecniche e dei risultati della vinificazione.
Dal punto di vista dell’opinione comune, però, soprattutto in Italia, c’è ancora tanta strada da fare.
Il “percepito” – come si usa dire nel marketing – del vino austriaco è ancora globalmente molto basso ed è difficile vincere le diffidenze di chi non lo conosce, ma pretende di saperne.
Con la mia attività di importatore di vino, lancio il guanto in faccia all’ignoranza e porto in Italia i vini di due cantine austriache: Mayer / Rotes Haus di Vienna e Waldschütz di Elsarn, un paesino nella Kamptal.
Entrambe producono vini di qualità rappresentativi dello stile e delle rispettive zone.
Alcuni di essi sono chiusi con il tappo a vite. Altri no, perché ci sono sempre casi in cui è meglio usare il tappo di sughero. E gli Austriaci lo sanno.
da Alessio | Feb 6, 2016 | Studio
Qualche appunto sui formaggi degustati durante l’evento Master of Cheese! organizzato dalla delegazione di Udine dell’AIS FVG, tenutosi a Udine il 23 gennaio.
DEGUSTAZIONE
I formaggi si degustano dal più fresco a pasta molle per finire con il più stagionato o il blu.
Quando sentiamo che il palato è stanco, possiamo pulire la bocca con un pezzetto di un frutto fresco, succoso e acido, come il kiwi, l’ananas o le fragole.
Il pane migliore per accompagnare il formaggio durante una degustazione è quello di segale.
Quando la loro consistenza lo permette, i formaggi vanno spezzati con le mani e subito annusati sul punto di rottura, poiché le molecole odorose sono molto volatili e svaniscono in pochi istanti.
Prima batteria,
accompagnata da Friulano Castello di Buttrio 2011 e Latimis Ronco del Gelso 2012
Casatella
È un formaggio che si gusta fresco, entro i primi quindici giorni dalla produzione, poiché, non essendo stagionato, deperisce presto.
Al naso odora di latte tiepido, ricco e profumato.
In bocca è leggermente acido, ma presenta una cremosità un po’ troppo collosa.
Colgentile di Enemonzo
Odore di latte e caramella mou, con una nota di affumicatura.
In bocca ha un’ampia nota vegetale e chiude con un leggero amaro.
Latteria di Ugovizza
Odore di latte molto lieve, con una nota piccante già netta al naso.
Pasta matura già a 60 giorni, che lascia la bocca pulita.
Montasio 60 giorni
DOP, ma davvero poco espressivo, sebbene, essendo destinato a stagionatura più lunga, si auspichi che in futuro sviluppi maggiori aromi.
Burroso al naso e in bocca.
Toma del Mont Avic
Naso complesso, nettamente animale, sapido e piccante, grazie all’alimentazione variegata dei pascoli del Mont Avic.
Sapore pieno grazie alla dolcezza del caglio di vitello.
Bettelmatt
Inequivocabile nota dell’erba mottolina, tipica ed esclusiva della Val d’Ossola, dove viene prodotto il Bettelmatt.
Sapore equilibrato e complesso.
Seconda batteria, accompagnata da Pignolo Ermacora 2009 e Picolit Dri
Taleggio 60 gg
Profumo di latte.
Gusto leggermente sapido e acidulo, rotondo e cremoso nel complesso.
Pecorino dei colli bolognesi
Profumo di latte di pecora.
Dolce e delicato grazie all’impiego di caglio di vitello.
Pecorino crotonese
Odore più intenso e netto di latte di pecora.
Sapore complesso e sapido, leggermente piccante.
Caciocavallo dei Monti Lattari
Formaggio di pecora a pasta filata, affinato in fossa e affogato in cera d’api.
Complesso, burroso e fondente.
Blu di Montefeltro
Profumo fresco di funghi champignon.
Dolce e solubile in bocca.
Blu notte
Profumo elegante di cappuccino.
Morbido e leggermente piccante in bocca.
da Alessio | Gen 30, 2016 | Studio
Come servire il formaggio
L’offerta di formaggi dovrebbe sempre essere ampia e coprire tutta la gamma di tipologie, proponendo sia formaggi freschi e molli che formaggi di diverse stagionature, e, naturalmente, prodotti con il latte di animali diversi.
Allestire il carrello e servire il formaggio
Sono essenzialmente due le tendenze di allestimento del carrello dei formaggi: una che lo vede ricco di una quarantina di proposte e un’altra che si limita a una dozzina di elementi.
Il vantaggio di contenere l’offerta, variandola nel tempo, consiste sia nell’offrire al visitatore abituale una proposta sempre nuova, sia nel contenere lo spreco.
Il formaggio, infatti, va sempre servito con il taglio fresco, pertanto ogni giorno è opportuno rimuovere una sottile fetta da ogni forma aperta, in modo che la porzione che arriva in tavola non sia mai secca, né ossidata.
Un buon carrello di un ristorante dovrebbe presentare una selezione di formaggi in parte provenienti dal territorio, per soddisfare il cliente di passaggio, e in parte extra-territoriali, per far scoprire nuove specialità al cliente affezionato.
Principali strumenti per tagliare il formaggio
Filo
Il filo di metallo sostenuto da un arco serve a tagliare i formaggi più fragili e delicati, come il caprino e la ricotta, senza che si sbriciolino.
Coltello a lama molto bassa
Un coltello con una lama alta un paio di centimetri è indicato per tagliare i formaggi a pasta molle, come il taleggio o il gorgonzola, che tendono ad appiccicarsi alla lama.
Se la superficie di lama che, alla fine del taglio, resta a contatto con il formaggio è molto piccola, la fetta di formaggio risulterà per lo più libera e facile da staccare.
Coltello a lama alta e rettangolare
Un grande coltello con la lama alta e di forma rettangolare è l’ideale per tagliare i formaggi a pasta di media durezza, come, ad esempio, formaggi di latteria con una stagionatura compresa fra i 60 e i 120 giorni.
La parte superiore della lama è larga, per permettere di appoggiarsi ad essa con la mano libera e fare forza sulla lama portandoci il peso.
Coltello a mandorla
Per tagliare una forma di formaggio stagionato come il grana e per ridurlo in scaglie, occorre il caratteristico coltello a mandorla, che può essere uncinato, per incidere più facilmente la crosta, o avere la semplice forma di goccia.
Temperatura di servizio e conservazione
La temperatura di servizio deve essere intorno ai 18 o 20 gradi, affinché le molecole di grasso del formaggio si sciolgano agevolmente con il calore della bocca. Ciò significa che, nel periodo estivo, quando la temperatura dell’ambiente è ben superiore ai venti gradi, è opportuno raffreddare periodicamente i formaggi del carrello, affinché non vengano serviti a temperature troppo alte.
Il formaggio va, poi, conservato in frigorifero incartato e sempre in un contenitore, poiché è estremamente sensibile alle correnti d’aria, incluso il movimento minimo che c’è all’interno di un frigo.
Poiché le muffe blu sono fortemente colonizzatrici, è fondamentale tenere i formaggi erborinati in un contenitore diverso da quello in cui si conservano gli altri formaggi, che, invece, possono essere riuniti nello stesso.